Telelavoro e smart working

Può affermarsi che il lavoro agile sia una “progressione” del telelavoro che interviene, a differenza di quest’ultimo (legato ad una scelta tendenzialmente definitiva), allorché determinate contingenze lo rendano necessario, tanto da contrassegnarsi, rispetto al secondo, per la sua particolare flessibilità organizzativa, senza che tuttavia (ed ovviamente) venga a mancare allo smart worker il trattamento economico e normativo applicato ai lavoratori in presenza (art. 20 della l. n. 81/2017); un trattamento, da cui però si esclude la fruizione dei buoni pasto, che, ad esempio, Cass. civ., sez. lav., 28 luglio 2020, n. 16135, in Foro it., 2020, 10, I, 3058, con una pronuncia resa all’interno di una vertenza contro una società di trasporti, considera di carattere assistenziale e non retributiva, con conseguente revocabilità unilaterale ad opera datoriale, mentre, relativamente ad una controversia avviata contro il Comune di Venezia, ha visto il locale tribunale respingerne il riconoscimento proposto con ricorso ex art. 28 della l. n. 300/1970 dalla Federazione Metropolitana della Funzione Pubblica Cgil di Venezia (Trib. Venezia, 8 luglio 2020, in Foro it., 2020, 10, I, 3058, che in argomento si richiama ad altro precedente della stessa S. C., ossia a Cass. civ., 28 novembre 2019, n. 31137, in De Jure, per la quale ai buoni pasto – così ne riprende pressoché testualmente il pensiero il giudice lagunare – va, appunto, esclusa la natura di “elemento «normale» della retribuzione, trattandosi di una «agevolazione dì carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale»”).

Sul piano dei distinguo da condurre tra telelavoro e lavoro agile, basti pensare al luogo e all’orario dell’attività: nel primo, il dipendente ha la sua postazione fissa, solitamente in casa o in altro luogo dal medesimo opzionato, ove in collegamento online con l’azienda opera come se fosse in presenza ed ove ciò che muta è quindi da individuare nell’ambito spaziale dello spiegamento della prestazione; nello smart working, al contrario, il dipendente non è vincolato alla propria abitazione od a specifiche postazioni, potendo attivarsi liberamente pure nella tempistica, dominandovi una prospettiva ad obiettivi, più che ad ore (a tal proposito, l’art. 18 della cit. l. n. 81/2017 specifica come il rapporto – attraverso “fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” – possa realizzarsi “in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”).

Trib. Milano, sez. lav., 31 dicembre 2010, n. 5440, in De Jure, identifica, per parte sua, i tratti del telelavoro non nella struttura del contratto, ma nell’esplicazione mediante: la delocalizzazione dell’attività, senza che si configuri una unità a sé stante; la interdipendenza funzionale tra i soggetti oltre il tradizionale luogo di lavoro; l’interconnessione relazionale per mezzo delle tecnologie che danno accesso ad una piena comunicabilità tra la sede dell’azienda e il luogo in cui il teleworker esegue la prestazione.

Sull’altro versante, la particolare flessibilità dello smart working, specie in punto di orario, non può andare a danno delle energie del prestatore, sì da impedirgli di disconnettersi dalla postazione. Al riguardo, l’art. 19 della l. n. 81/2017 prescrive che l’accordo intercorso tra le parti deve stabilire “i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”, ossia la libertà a non essere contattato in maniera permanente per il tramite di dette strumentazioni.

Corrado Marvasi – Esperto in diritto di famiglia, responsabilità civile e diritto del lavoro.