La pratica del lavoro a distanza nel nostro Paese
Fatte le debite premesse, di natura generale sulle analogie, va detto che il ricorso alla prestazione lavorativa da remoto, facendovi rientrare ambedue le forme sopra considerate, non costituisce, a parte le esigenze avvertite con la pandemia, una pratica che in Italia sia sentita come all’estero. Dal rapporto n. 4/2021, redatto a cura di Area Centro Studi – Assolombarda, Lo smart working in numeri, si ricava che nel 2019 coloro che in Italia, di norma o saltuariamente, lavoravano da casa era del 4,8%, ossia tra le più basse in Europa.
Il fenomeno, tuttavia, si starebbe affermando, non solo, appunto, per effetto del c.d. lockdown, ma di una modificatasi cultura, come a dire che indietro non si torna o, che, almeno, nulla è più come prima.
Si legge nel detto rapporto che “l’emergenza sanitaria ha avuto un enorme impatto sulla diffusione dello smart working, contribuendo ad accelerare cambiamenti nell’organizzazione del lavoro già in atto per effetto dell’evoluzione tecnologica” (cfr. https://www.assolombarda.it/centro-studi/smart-working-2021). Non può, invero, negarsi che senza tale evoluzione, in tutti i settori (non solo della comunicazione), ci saremmo trovati come ai tempi della peste manzoniana.
Può forse ritenersi che tra i fatti tragici, cui da oltre un anno a questa parte l’umanità si è trovata ad assistere, si sono insinuati e/o incentivati metodi, in grado di salvaguardare la salute e l’occupazione, coniugando l’uno e l’altro valore grazie alla possibilità di poter dialogare ed organizzarsi a distanza.
Tali presupposti rendono entrambe le modalità lavorative un punto di riferimento, tanto che vengono spesso trattate come sinonimi, pur non essendolo se non nel senso che, come abbiamo visto, danno adito, attraverso l’utilizzo degli avanzati strumenti della comunicazione, allo svolgimento dell’attività al di fuori della sede lavorativa. Si differenziano, tuttavia, sotto il profilo del concreto sistema esecutivo della prestazione, della dislocazione (presso la sede o altrove) del relativo pacchetto di obblighi e diritti che sorgono da esse e, ancor prima, della fonte regolatrice.
Il lavoro agile, infatti, trova la sua disciplina nella legge n. 81/2017, il cui art. 18 ne individua lo scopo nell’incremento della competitività e nell’agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; il telelavoro ha avuto origine dall’accordo interconfederale 9 giugno 2004 di recepimento dell’accordo-quadro europeo del 16 luglio 2002, intercorso tra le organizzazioni nazionali di rappresentanza delle imprese e le associazioni sindacali più rappresentative, al fine di rendere un servizio alle imprese modernizzando l’organizzazione del lavoro e nel contempo di accordare ai lavoratori la possibilità di “conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale offrendo loro maggiore autonomia nell’assolvimento dei compiti loro affidati”.
Corrado Marvasi – Esperto in diritto di famiglia, responsabilità civile e diritto del lavoro.
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