Non sono mancati, specie nei primi tempi dell’incontrollata diffusione del Coronavirus, quando ne eravamo viepiù sconcertati ed impauriti, dei paragoni, col periodo della peste manzoniana. Si veda, tra i tanti, l’articolo in data 26 marzo 2020 a firma di Maurizio Mori, su http://www.quotidianosanita.it/studi e analisi, dal titolo Manzoni, la negazione della realtà (della peste), e l’analogo atteggiamento circa le Raccomandazioni Siiarti sull’emergenza Coronavirus; un articolo, col quale si sollecita il lettore a seguire la “lezione” trasmessaci da Manzoni e, dunque, “di vedere meglio come avvenga il processo di negazione di realtà”, individuato per quell’epoca nel rifiuto della gente, della politica e dei magistrati a rendersi conto dell’inarrestabile spargersi del morbo.
Venendo all’oggi, si tratti o meno di selezione, pianificata oppure no (visto che pure di progetto di eliminazione di massa, destinata a colpire i più fragili, si è parlato), un nuovo scenario si è spalancato davanti a tutti noi; uno scenario che dal punto di vista scientifico è finora in allestimento, nel senso che non si comprende se e quando il virus tornerà a colpire (vi è stata una seconda ondata, peggiore della prima) e se, ancor prima, il sistema vaccinale messo in campo sarà sufficiente a proteggerci.
Una cosa è, però, sicura: la necessità di organizzarci nelle quotidiane relazioni, al cui interno il lavoro recita un ruolo di primaria importanza e, quindi, di continuare a vivere “attivi”, in maniera da predisporre ogni sistema utile, affinché la filiera produttiva e professionale, ossia l’economia nel suo complesso, non solo non si arresti, ma riprenda il suo percorso arricchita, se così può dirsi, dalla triste esperienza pandemica.
Il telelavoro, che consiste nella possibilità di svolgere, grazie all’impiego di strumenti informatici e telematici, la prestazione al di fuori dei locali dell’impresa, si inserisce in siffatto iter. Il Supremo organo della giustizia amministrativa non ha mancato di caldeggiare in tempi non sospetti (ossia ben prima dello scoppio dell’allarme pandemico) un più proficuo utilizzo ed una migliore diffusione, anche presso le pubbliche amministrazioni, di tale forma collaborativa da remoto (oltre che del part-time), sollecitando “un’opera di comunicazione istituzionale delle best practice, per valorizzare le potenzialità di tali strumenti, come dimostrato soprattutto dalle migliori esperienze straniere” (Cons. St., comm. spec., 21 aprile 2017, n. 916, in Foro amm., 2017, 4, 857).
Dal telelavoro allo smart working (o lavoro agile), il passo è breve, consentendo entrambi, attraverso il ricorso alla tecnologia, l’interazione a distanza tra i soggetti, mettendoli in contatto sul piano collaborativo ed evitando quegli assembramenti anche inquinanti per l’intenso traffico di cui sono la causa principale: le persone si spostano in massa soprattutto nelle c.d. ore di punta, da e per i luoghi di lavoro e di studio.
Si tratta di spostamenti che, nell’attuale periodo, si sono mostrati dannosi, oltre che sconsigliati, se non vietati dalle autorità per contenere il contagio (da qui l’esperienza della didattica a distanza, o DAD) e che dannosi o non produttivi lo sono sempre, allorché il lavoratore debba far fronte a situazioni di personale difficoltà, per cui muoversi da casa è problematico, ovvero la prestazione non richieda d’essere svolta in presenza.
Corrado Marvasi – Esperto in diritto di famiglia, responsabilità civile e diritto del lavoro.
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